Vita da downshifter

Com’è bello passeggiare a Bologna la mattina di un giorno feriale. Il cielo è azzurro, la città è operosa, le attività si mettono in moto, ma non c’è confusione. Nei negozi ci sono pochissime persone, è possibile guardare le cose con calma. Mi sono seduta alla libreria ambasciatori a leggere, c’ero solo io. Come sottofondo hanno messo la musica di De André, potevo chiedere di più? All’ultimo piano ho ammirato il tetto trasparente che mostrava la bella giornata e il palazzo di fronte, mi sembrava di essere a Parigi.

Sì, questa città è proprio bella, per godersela bisogna girare negli orari in cui tutti sono negli uffici, bisogna evitare la massa, la folla. La cittadinanza è cambiata in peggio nel corso degli anni, la televisione ha colpito fortissimo, la gente non si è evoluta, anzi ha fatto un passo indietro nell’educazione, nella civiltà, nel rispetto, nella convivenza civile e sociale, bisogna aspettare che siano richiusi nelle loro gabbie (uffici, scuole, case) per poter godere del meglio.

Basta pacche sulle spalle ai giovani

http://blog.iodonna.it/psiche-lei/2014/01/03/non-giocare-per-non-perdere/

Ho letto questa lettera indirizzata a Vegetti Finzi con i relativi commenti e non ho resistito, ho dovuto scrivere quanto segue:

Leggendo qui sotto i commenti mi sembrano i soliti consigli fumosi e illusori che si danno alle persone di 18 anni, gli stessi che sono stati dati a quelli della mia generazione (1976, la generazione di Renzi) e guarda cosa ci è arrivato addosso. La disoccupazione giovanile è al 40% in questo momento e sarà così per ancora un bel pezzo, prima di riassorbire una tale mole di disoccupati ci vorranno decenni e ci vorrebbe anche un’economia che crescesse a ritmi improbabili. Fare i filosofi con le vite degli altri, ma anche con la propria, non conviene. Ai ragazzi bisogna dire la verità, mi rendo conto che forse sono più intuitivi di molti adulti, hanno capito l’aria che tira. Investire sul percorso universitario senza avere un ritorno dall’investimento non ha senso, negli Stati Uniti dove ci si indebita pesantemente per studiare, sono molto più pragmatici. Steve Jobs, che qui sotto qualcuno citava, ha mollato l’università quando ha capito che non faceva per lui, non ha voluto che i suoi genitori sprecassero soldi e si è inventato un’idea.
Scusate la “ruvidità”, ma non sopporto le illusioni spacciate ai ragazzi, non credo che li aiuti, a me non sono servite e non serviranno alle generazioni dopo la mia, se potessi farei dei corsi di orientamento ai ragazzi dove gli si racconta le cose come stanno. Li aiuterebbe di più che la pacca sulla spalla.

Donne, maternità, matrimonio

«Sorry, ma fare la madre non è il lavoro più importante al mondo», titolava il Guardian qualche settimana fa in un (sacrosanto) editoriale affidato all’attrice e autrice Catherine Deveny.

Soprattutto, la (finta) deificazione della madre incoraggia le donne a «zoppicare» professionalmente e finanziariamente. «Non sarà — si chiede Deveny — che questo slogan vuoto è solo un contentino per le donne che scavano fossati tra se stesse e potenziali carriere? Non sarà che “madre” è solo un sinonimo per l’aspettativa che la donna si prenda cura dei bambini senza alcun compenso, sminuendo così sia il valore del crescere i figli che, strategicamente, quello della donna sul lavoro? E se fare la madre è così importante, perché gli uomini non mollano le loro importantissime carriere per dedicare la vita ai figli? Dopotutto non si sente mai dire che fare il padre sia il lavoro più importante al mondo».

Tratto da http://27esimaora.corriere.it/articolo/e-luomo-scopri-il-matrimonio/

Ecco questo pezzo lo darei come tema per la maturità 2014, commentare e sviluppare questo passaggio. Se non fossimo in un Paese cattolico forse qualcuno l’avrebbe già fatto. Far ragionare le ragazze su queste righe, sulla loro vita, sulle loro aspirazioni, sulle cose che contano veramente per loro e perché. Sui condizionamenti sociali, molto feroci per le donne di questo Paese. Sì, è vero le donne scavano fossati tra se stesse e potenziali carriere, tutto il sistema si regge su questo. Migliaia di donne sono convinte che non importa guadagnare bene ed essere pienamente autonome finanziariamente. 

Flessibilità made in Italy

Anni ad aspettare un contratto che ripaghi tutti i sacrifici, ma nel frattempo l’unica cosa che si ottiene è solo la perdita di entusiasmo, demoralizzazione e sfiducia, che giorno dopo giorno intaccano anche la sfera personale, portando l’individuo a perdere punti di riferimento, obiettivi e speranze. Come afferma il sociologo Richard Sennett, l’uomo oggi è caratterizzato da una flessibilità, che porta l’individuo a perdere il controllo della propria vita; la flessibilità conduce al disordine e non alla libertà e corrode la personalità dei dipendenti a causa di una mancata stabilità lavorativa. I lavoratori di oggi sono sempre in cammino, costretti ad inseguire i repentini e imprevedibili mutamenti economici, impossibilitati a reggere il ritmo degli incalzanti cambiamenti, angosciati dal futuro e dalla paura di non farcela, senza tempo da dedicare ai figli, senza modelli stabili da trasmettere, senza la possibilità di elaborare una narrazione, personale e lavorativa, che abbia uno sviluppo coerente e consenta loro di costruirsi un’identità passabilmente stabile.

Tratto da: http://www.sferapubblica.it/2013/04/08/ma-la-laurea-serve-il-lavoro/#.UslagPTuLVs

Entusiasmo

Mi rendo conto che tutto l’entusiasmo che ho messo nell’azienda in cui lavoravo era un sentimento tutto mio e solo mio. Era una mia illusione. Ho sognato un’azienda che non c’era. Un’amica mi ha detto: “tu ci credevi”. Sì, era così, almeno fino a qualche anno fa. Ci credevo, ma era solo una mia illusione. Era quell’entusiasmo che metto nelle cose nuove, nei nuovi lavori, ci proietto sopra tante cose, tutte mie, che in realtà questi lavori non hanno. Sogno. Immagino. La pubblicità dice “immagina, puoi”. Non se l’azienda non è tua, c’è ben poco da immaginare. Lavorare alle dipendenze di qualcuno significa stare ai suoi capricci e desideri, non hai voce in capitolo. L’azienda per cui lavoravo era attiva in un ambito culturale, quanti progetti avremmo potuto fare per farla conoscere e intrecciare rapporti interessanti? Siamo finiti ad inserire ordini e a correre dietro alle lamentele dei clienti. Perché non volare un po’ più alto? Sto continuando a sognare un’azienda che non c’era. Mi rileggo la storia della mia azienda e ripartono i film mentali: avrei potuto fare questo, e poi quest’altro, ma perché non mi hanno fatto fare qualcosa di meglio? Perché quell’azienda non è quello che pensavi tu, non lo è mai stato.

Gli ultimi due mesi

In questi ultimi mesi mi sembra di non aver vissuto. O forse ho solo vissuto male. Me ne rendevo conto stamattina mentre guardavo questo splendido blog corredato da foto di Milano: http://www.s-notes.net/ l’autrice nel suo tempo libero va in giro per Milano a fare fotografie alla città e si ferma a fare merenda in locali deliziosi. Ho visto la foto di una torta pere e cioccolato e ho esclamato anch’io! E poi tutte le foto dell’autunno, una stagione che adoro proprio per i colori del foliage e per i cieli azzurri. Quest’anno non me ne sono neanche accorta, ho passato due mesi infernali solo a pensare al lavoro. Al lavoro che stavo perdendo e a tutte le sue complicazioni. Di mio l’avrei anche vissuto relativamente bene, desideravo un cambiamento, ma è stato il contorno di ambiente di lavoro infernale che mi ha reso questi mesi difficili. La collega sempre incazzata, ci pagheranno il preavviso, non ce lo pagheranno, ci faranno fare le ferie prima della Cassa, ce le devono far fare, è un diritto, ah gli farò causa su questo e quest’altro, ah mi licenzio subito allora, la cassa integrazione non mi va bene, è meglio la mobilità, ma a te va bene? Tutto così. In continuo. Io mi ero già preparata in questi anni a questo tsunami perché sapevo che la fine sarebbe stata questa, ho letto libri, ho progettato, i progetti aiutano a superare i momenti di difficoltà. Nonostante ciò superare due mesi di polemiche non è stato facile. Mi sarei voluta godere gli ultimi due mesi di lavoro, i miei clienti, i miei libri, le cose che mi piacevano, il mio ufficio, un addio in nostalgia. Invece ormai non vedevo l’ora che finisse, di fuggire a questa devastazione continua, quasi un sistema per non rimpiangere nulla.  

Via la gente negativa dalla propria vita

Allontanarsi dalla persone negative, frustrate e polemiche è la prima regola di igiene e sanità mentale (propria) nella vita. Ne ho conosciute di persone grondanti di negatività nella mia vita personale e lavorativa, bisogna starci alla larga. Passarci meno tempo possibile o non passarci del tempo affatto. Le persone che ci circondano e che frequentiamo influenzano molto la nostra vita. Possiamo anche essere degli stoici, resistenti all’inverosimile, ma la qualità della nostra vita peggiorerà. Il collega grondante di negatività, frustrazione e polemica ti farà vivere in un ambiente di lavoro pessimo. Per quanto tu possa fregartene non puoi sfuggire. Solo quando te ne andrai da quel lavoro finalmente ti renderai conto della follia di esserci rimasto. La propria vita bisogna costruirsela con le proprie mani, con le proprie scelte.

A casa con lo scatolone in mano come Lehman Brothers

Oggi è stato il mio ultimo giorno di lavoro, sono uscita dall’ufficio con lo scatolone in mano con tutte le mie cose come ho visto fare agli impiegati di Lehman Brothers nel 2008. L’azienda dove lavoravo ha fatto una ristrutturazione e la filiale è saltata. Gli ultimi due mesi sono stati durissimi, ti tornano su tutti gli anni passati in azienda, tutte le incazzature, tutte le ingiustizie subite, gliele vorresti sputare in faccia, ma tanto ormai non serve più. Puoi provare a prenderla filosoficamente, ma hai accanto colleghi inviperiti che ti rendono gli ultimi mesi un inferno, nel mio caso la collega ha fatto polemica tutto il tempo su qualsiasi cosa esattamente come ha fatto polemica per tutti gli anni che ho lavorato lì per qualsiasi cazzata. Mi chiedo come ho fatto a resistere. Già. Se lo chiedeva anche un mio amico che un giorno mi ha detto: “tu sei bravissima a resistere, puoi resistere anche per altri 15 anni, ma che vita è?”.  Insomma ho radunato tutte le mie cose in uno scatolone e ho lasciato l’ufficio per sempre, ufficio che non riaprirà mai più.

Invio CV

Queen Of Fuckin' Everything

Carissimo Potenziale Datore Di Lavoro,

mi chiamo Beatrina Incorporella, ho 33 anni come i trentini che entrarono a Trento, e ti invio  questo riassunto delle cose che so fare, nella speranza che qualcuna di esse attiri il tuo interesse.

Mi sono laureata al DAMS perchè mi piaceva, pensavo di poter svolgere una funzione sociale tipo farmi deridere da tutti coloro che non hanno fatto il DAMS, ero giovane e incosciente e non capivo le ossidoriduzioni, certo, se tornassi indietro studierei tutt’altro, numeri, enzimi, organi interni, percentuali, tutte quelle belle cose che ti offrono più risposte che domande, ma all’epoca non sapevo, ero giovane, avevo la sciarpa a righe, spero che mi perdonerai questa mancanza di larghi orizzonti. Devo dire a mia discolpa che ho sempre studiato, mi sono laureata in fretta, con un bel voto, certo è che col senno di poi siam bravi tutti, io avevo solo la scarsa…

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La dura verità (the awful truth)

Tratto da un bel commento di Amazon al libro “The art of non-conformity” di Guillebeau:

“At community college I meet adult students of all ages who often are in school as an effort to change their lives. Unlike university settings, many of these students have already experienced some of their life and have already experienced disappointments. They have children. They have jobs. They struggle.

And as a sociology professor I have more bad news. I have to tell them that it is not the truth that education and a degree are magic entry into the middle class. I have to tell them that they are competing with other workers who have head starts on them because of social class structures and that the data connecting “a good education” with “a good paying job” is spurious because young people from middle and upper-middle class families with economic and social connections already in place get educations and degrees too, and then rely upon their parent’s business connections to find the good paying job. In other words, the conventional life that Guillebeau so eloquently describes is often an illusion, available only to the few and the game is rigged in favor of that few.

But I remind them that there is good news in sociology as well. The good news is that the world in which we live is of our own making collectively. Most of what we perceive to be set in stone is merely the sum total of decisions made by individuals who are accepting scripts about life that can be questioned. In the questioning there is power. There is power to resist, power to drop out, power to change, power to be something different. The answers do lie in the unconventional and the nonconformity.”

Pattie Thomas, Ph.D.

Aggiungo che non basta farsi le domande giuste, ma bisogna anche agire. Nel commento viene detto che il potere è nella domanda. Io penso che il potere sia nell’azione. Dopo aver messo in discussione gli “scripts” che ci vengono proposti in automatico dobbiamo agire, fare delle scelte concrete, altrimenti non c’è storia, rimaniamo dei teorici.